Ciao creaturina,
come stai in questo ultimo giorno del 2024? Sei pronta, pronto, prontə a dare un nome alle tantissime, vecchie e nuove, forme di cambiamento climatico che ci aspettano nell’anno venturo?✨
Dai, scherzo, succederanno sicuramente tante cose bellissime (a parte la neve in Italia, a quanto pare!); una di queste è la continuazione di Verde Leggo, il nostro appuntamento bimestrale in cui discutiamo di libri che trattano di tematiche ambientali — e, dall’anno prossimo, non solo ambientali😏
Stiamo ancora scegliendo con quale libro iniziare, ma con una certa dose di sicurezza t’annuncio che il prossimo appuntamento sarà lunedì 24 febbraio 2025! Perciò, se ti va di unirti alla nostra allegra ciurma e vuoi avere aggiornamenti sulle letture del futuro (in tutti i sensi!), puoi farlo da qui, o scrivendo un’email a giulia@impatto.io💥ti aspettiamo!
…ma bando alle ciance: l’ultimo giorno dell’anno non ho intenzione di essere proprio io a costringere i tuoi occhi, che oggi più che mai stanno guardando a un nuovo futuro, a fissarsi sullo schermo di un pc o di uno smartphone!
Per cui mi butto a capofitto a raccontarti dell’ultimo libro letto per Verde Leggo: Un posto piccolo, dell’autrice antiguana Jamaica Kincaid (ed. ita. 2000, Adelphi), una piccola perla della letteratura post-coloniale e ambientalista.
Pubblicato per la prima volta nel 1988, questa sorta di flusso di coscienza dell’autrice, rivolto espressamente a quelle persone bianche figlie di un passato colonizzatore (e cioè, molto probabilmente, me e te che leggi), è una ludicissima e attualissima invettiva sullo stato in cui versa(va già all’epoca) Antigua, l’isoletta lunga 20 km nell’arcipelago delle Piccole Antille in cui Kincaid è nata.
Se non l’hai letto, ti lascio di seguito un breve estratto dell’incipit, per farti capire lo stile:
Ogni riga del testo, che — te lo ricordo! — è di sole 83 pagine, lancia una frecciatina, più o meno palese, più o meno forte, a nuovi argomenti, che l’autrice concatena con maestria, ironia e una ben giustificata rabbia (tutte cose che la traduzione italiana rende in mondo meraviglioso): dal sovraturismo, di cui forse negli anni ‘80 non si parlava ancora molto fuori dai circoli accademici, al colonialismo, passando per lo schiavismo, l’uso (o meglio, la proibizione dell’uso) di lingue locali, e il capitalismo.
Durante l’incontro, abbiamo in effetti affrontato tanti temi, partendo dalle classiche domande sul turismo sostenibile e sull’ipotetica “autenticità” di certe esperienze di viaggio rispetto ad altre.
Per quanto, infatti, il gruppo si costituisse di persone attente al rispetto dell’ambiente, e quindi di persone che prediligono determinate modalità di “essere turista”, è emersa la consapevolezza che il nostro turismo non è mai veramente sostenibile (ma d’altronde già Sara Gainsforth ce lo spiegava in quest’altro piccolo libello di cui abbiamo parlato, ormai troppi anni fa, in uno dei nostri Steps d’Impatto), non solo a livello ambientale, ma anche culturale e sociale.
Quest’aspetto è strettamente legato all’idea di “autenticità” nei viaggi, e tira fuori l’annosa questione del “se mi faccio le treccine afro in Kenya sto facendo esperienza del vero Kenya? O forse le treccine afro che mi faccio ogni estate a Jesolo sono già in qualche modo esperienza di una vera Africa (…non apriamo la parentesi sull’uso del termine “Africa"………)? O forse sto facendo appropriazione culturale in entrambi i casi, senza necessariamente rendermente conto?”
Tu cosa ne pensi?
Io ti spoilero la mia risposta, che non solo è la seconda, ma anche un po’ la quarta, e mi sa aggiunge altri dubbi a quelli già esistenti: se il “vero” Kenya esiste, siamo davvero sicurɜ che si voglia far vedere proprio a noi, che siamo spesso quel tipo di turistɜ che Kincaid descrive nelle prime pagine del suo libro? E, anche se siamo (o ci sentiamo) turistɜ diversɜ, alternativɜ, attentɜ: questo cosa cambia nella prospettiva di una persona locale che ci vede arrivare e desiderare una esperienza più vera delle altre persone? O ancora, siamo proprio sicurɜ che fare zumba in India sia “meno autentico” che praticare yoga?
E, soprattutto, perché questa voglia di esplorare i “veri posti” e di fare “esperienze autentiche” ci viene solo quando parliamo di luoghi esotici (che, beninteso, non sono solo stati lontani dove il sole splende per i 10 giorni delle nostre ferie, ma anche quelli vicini, in Italia, ma che sprizzano odore di esotismo, come probabilmente Napoli o Palermo se vieni dal Nord Italia o Milano e Venezia se vieni dal Sud Italia [sì, sto generalizzando, perdonami!]), e non quando parliamo della città accanto alla nostra?
Non so a te, ma a me, che sono di Vittorio Veneto, non è mai capitato di pensare “Domani vado a Treviso e, oh, voglio proprio farmi un taglio di capelli alla trevisana, così sarò una vera local”. Eppure, viaggiando in posti più remoti (ossia, più esotici per me), pensieri simili mi sono venuti spesso in automatico. Perché? E perché è così difficile decostruire il processo che mi (ci?) porta ad avere questi doppi standard?
Noi, a Verde Leggo, una risposta non ce la siamo data, quindi sono tutte riflessioni aperte e discussioni che probabilmente continueranno a farsi e disfarsi; però diventa sempre più chiaro che la sostenibilità ambientale tocca molti più ambiti di quanti solitamente ce ne si ricordi, e che anche se può essere difficile vedere una connessione tra un nostro semplice gesto, come farsi le treccine afro, e la sostenibilità ambientale di un luogo, quella connessione c’è, ed è spesso modellata da noi, dal nostro approccio al vivere la nostra vita su questo pianeta, dalla nostra dipendenza (o non) dai social media o dalla nostra tendenza (o non) all’iper-performatività e, la maggior parte delle volte, dal nostro privilegio bianco (o non).
[Un libro che capita a pennello con queste tematiche è Un’ecologia decoloniale di Malcom Ferdinand, da poco pubblicato in italiano per Tamu Edizioni…ora non abbiamo tempo di approfondire, ma sicuramente arriveranno riflessioni anche in merito a questo testo fondamentale!]
Sì, hai ragione: avevo promesso brevità e sicuramente non un argomento così complesso, per questo 31 dicembre; sta volta, tiro dritto ai saluti, ma prima ti lascio un video di Kincaid (in inglese con sottotitoli in italiano), in cui l’autrice presenta un po’ di connessioni interessanti derivate dalle sue esperienze di vita:
Steps d’Impatto della lettura: 🦶🏽🦶🏽🦶🏽🦶🏽🦶🏽🦶🏽🦶🏽 🦶🏽🦶🏽/10
Lo consigliamo a chi…vuole mettere alla prova il proprio privilegio bianco, non rinunciando a una prospettiva ambientalista (e per una volta, non bianca!).
Saluto te, e questo 2024, augurandoci un nuovo anno in cui riuscire a lasciare più spazio ai posti piccoli del mondo 🌎💚
A presto e “buon inizio” da tutto il team d’Impatto,
Giulia